Chardin, il pittore del silenzio in mostra a Ferrara

CHARDIN. IL PITTORE DEL SILENZIO

Al Palazzo dei Diamanti di Ferrara dal 17 ottobre 2010 al 30 gennaio 2011

«Noi usiamo i colori ma quello con cui dipingiamo è il sentimento». Con queste parole, Jean-Baptiste Siméon Chardin (1699-1779), contrapponendosi alle regole accademiche allora in voga, amava descrivere il suo modo di fare arte e la sua poetica.Jean-Baptiste-Siméon Chardin: La scimmia antiquario, c. 1735-40, Olio su tela, cm 43,5 x 38,5.Chartres, Musée des Beaux-Arts Chartres, foto Musée des Beaux-Arts
A questo grande protagonista dell’arte del Settecento, uno dei più straordinari pittori di tutti i tempi, Ferrara Arte dedicherà dal 17 ottobre 2010 al 30 gennaio 2011 un’importante mostra, la prima mai consacrata all’artista nel nostro paese. L’esposizione è organizzata in collaborazione con il Museo del Prado di Madrid, che la ospiterà dopo la tappa italiana, ed è curata da Pierre Rosenberg, massimo esperto di Chardin, membro dell’Académie Française e già direttore del Musée du Louvre.

Chardin è l’artista francese che ha avuto maggior influenza sulla pittura moderna. L’aver elevato gli oggetti di uso quotidiano e i gesti delle persone comuni a materia di rappresentazione artistica ne fa il vero erede di Vermeer e, al contempo, il punto di riferimento per artisti del calibro di Cézanne, Matisse, Braque e Morandi. Ma Chardin non è solo uno dei più influenti artisti del Settecento, è anche uno dei più originali. Egli infatti rifiuta, sin da giovanissimo, i percorsi didattici accademici ed è uno dei pochi a non aver mai effettuato il viaggio in Italia. Tra tutti i generi pittorici evita proprio quelli che nella Francia del secolo dei lumi sancivano la statura e la fortuna degli artisti, e cioè i dipinti di soggetto storico o mitologico.
Nonostante ciò, nel 1728 l’Académie Royale de Peinture et de Sculpture – alla quale Chardin aveva sottoposto la propria candidatura con le prime impressionanti nature morte – riconosce il suo talento e lo accoglie nei suoi ranghi come pittore di frutta e di animali. La scelta del genere della natura morta, apparentemente minore, non ne vincola il successo e Chardin si impone presto sulla competitiva scena parigina. Nel corso del decennio successivo, egli estende la propria ricerca anche alla figura umana, effigiata perlopiù in ambienti domestici e nello svolgimento di semplici mansioni quotidiane, in scene in cui i ceti più umili sono associati ai rampolli della borghesia francese. Nascono così capolavori come Il garzone d’osteria, La governante o Il giovane disegnatore ai quali si affiancano le toccanti raffigurazioni delle attività ricreative dei giovani come le Bolle di sapone, la Bambina che gioca col volano o il Bambino con la trottola.
In ciascuna di queste opere, attraverso una tecnica pittorica stupefacente, incentrata sul rapporto tra tono e colore e sulla variazione degli effetti di luce sugli oggetti e sulle persone, l’artista riesce a trasmettere all’osservatore l’emozione provata di volta in volta di fronte al soggetto. È con questo spirito che Chardin dipinge, ad esempio, il Mazzo di fiori (c. 1755) uno degli esiti più alti della sua arte, dove la straordinaria freschezza di esecuzione e la tavolozza dai colori audaci appaiono del tutto inedite rispetto alle opere dei suoi contemporanei.
Jean-Baptiste-Siméon Chardin: Mazzo di garofani, di tuberose e di piselli odorosi in un vaso di porcellana bianca a motivi blu, c. 1754. Edimburgo, © National Gallery of Scotland, foto Antonia Reevet
Il successo dell’innovativa pittura di Chardin è registrato dalle reazioni del pubblico alle tele che l’artista espone al Salon a partire dal 1737. Entusiasti, ad esempio, i pareri di alcuni intellettuali tra cui Denis Diderot, che nel 1763 osanna pubblicamente il realismo delle nature morte del pittore. Chardin è molto apprezzato anche dal re di Francia Luigi XV, al quale il pittore dona la Madre laboriosa e il Benedicite, ricevendo in cambio la stima del sovrano e, nel 1757, il grande privilegio di dimorare e lavorare al Louvre.
Verso il 1770 i problemi di salute lo inducono a rallentare l’attività e ad abbandonare progressivamente la tecnica ad olio. Con un gruppo di ritratti a pastello si conclude la lunga carriera di un artista che per tutta la vita aveva concepito la pittura come un mezzo per conoscere la realtà, evitando con cura i contenuti aneddotici, e mirando a raggiungere un’arte senza tempo che riflettesse un’armoniosa perfezione tra forma ed emozione.

La mostra di Ferrara e Madrid offrirà l’occasione di ripercorrere le tappe salienti del percorso artistico di Chardin attraverso un’ampia selezione di opere provenienti da musei e collezioni pubbliche e private di tutto il mondo. La rassegna spazierà così dalle nature morte giovanili alle scene di genere della prima maturità, fino al ritorno agli oggetti degli anni Cinquanta e agli straordinari capolavori dell’ultimo periodo.

Nella Francia del Settecento, dedita alla sontuosa vita di corte e alle voluttuose feste galanti, all’effimero trasformato in sistema di vita, Jean-Baptiste Siméon Chardin (1699-1779) descrive un’altra realtà. Pittore meditativo e raccolto, egli crea le tele meno “parigine” di tutto il secolo dipingendo il silenzio: un silenzio assordante che pervade le sue nature morte, composte con oggetti di uso domestico disposti su semplici tavoli di legno, e le sue scene di interni, in cui i domestici e i rampolli della borghesia francese, assorti nei propri pensieri, sono raffigurati nelle più semplici attività di tutti i giorni.
Ogni dettaglio ornamentale è bandito, la pittura, di qualità sopraffina, diviene poesia del quotidiano, un mezzo per esaltare, con empatica sensibilità, i gesti delle persone comuni che Chardin trasforma in silenti eroi del quotidiano.

Un appuntamento che si preannuncia imperdibile e che aspira a far scoprire al pubblico italiano un’artista che Vincent Van Gogh riteneva «grande come Rembrandt».

 

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